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Gusto: Burro a Latte Crudo dell'Alto Elvo

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Dalle tradizioni delle Alpi biellesi, nascge questo butto a latte crudo. La produzione è protetta dal Presìdio Slow Food e dall'Ecomuseo Valle Elvo e Serra.
La 43a scheda enogastronomica di NOTIZIE PIEMONTE, è dedicata al BURRO A LATTE CRUDO DELL'ALTO ELVO, delle montagne biellesi. Una tradizione radicata nella cultura locale della parte occidentale della provincia di Biella.
 
Una tradizione, che arriva dagli alpeggi, sopesso impervi e scoscesi, che si trovano nei pressi del monte Mucrone e del Mombarone. La ricchezza delle sorgenti d’acqua, consentiva ai pastori di conservare il latte dopo la mungitura, far affiorare la parte grassa del latte per fare il burro e, con il latte scremato, fare in seguito tome magre.
In valle Elvo, il burro è un prodotto particolarmente redditizio per l’economia pastorale locale, tanto che ancora oggi nel giorno dell’Annunciazione di Maria (25 marzo), nella Chiesa di Vagliumina, si rinnova il rito della benedizione del burro, che viene poi consegnato in piccoli panetti ai fedeli. Nella tradizione, si chiama il “buru d’la Madona d’mars” (burro della Madonna di marzo, in dialetto) ed è prodotto con il latte delle vacche che hanno appena iniziato a pascolare sui prati primaverili. Nei tempi passati, veniva usato come unguento medicamentoso. Il 25 marzo, precede di qualche settimana la trasumanza negli alpeggi. In Alto Elvo, gli alpeggi, risalgono alla fine del Seicento e alla prima metà del Settecento. Generalmente, venivano collocati vicino alle sorgenti e fungevano da casa, stalla e caseificio per i mesi estivi. Annesso all'alpeggio, il fraidél, piccola casetta in pietra, della quale si incanalava l’acqua della sorgente ed era usata, per il raffreddamento del latte e l’affioramento della panna che avveniva in paioli di rame detti parél.
I pastori, ottenevano il burro dalla lavorazione della panna affiorata da paioli di latte provenienti da due mungiture successive. Dopo il riposo lungo un giorno, la lavorazione del burro, cominciava raccogliendo la panna con un mestolo in legno di betulla, detto casùla. La panna ottenuta, si poneva in una zangola in legno. Quella meno acida della sera, si mescolava a quella più acida. Seguiva, la separazione del latticello ed il successivo lavaggio del burro, naturalmento sfruttando sempre acqua fresca di sorgente. Una volta battuto per eliminare i liquidi rimasti, veniva sagomato in panetti, sui quali si imprimeva il marchio del produttore, con un attrezzo chiamato marca da buro, fatto con legno di acero. Una volta eseguita l'operazione, il burro veniva immerso nuovamente nell’acqua fresca della sorgente a indurire e veniva conservato nell’acqua da almeno 12 ore fino ad una settimana. Alla tradizione antica, oggi si è sostituiti con mezzi più moderni in acciaio. Oltre al burro a latte crudo, potevano essere ottenuti lavorazione, la ricotta fresca (mascarpin) o il fiurì (un latticello dolce da miscelare in una polenta un poco liquida) e lo sràsc (piccole palline di ricotta stagionata e leggermente affumicata, con l’aggiunta a volte di frammenti di erbette raccolte sui pascoli montani).
Slow Food, è intervenuto per il sempre più crescente numero di malghe abbandonate. I pochi pastori ancora legati alla produzione in alpeggio spostano gli animali in quota fin dalla tarda primavera, arrivando a pascolare e caseificare fino a oltre 1600 metri, per scendere a valle alla fine dell'estate. Negli ultimi anni la produzione di burro nelle zone dell'alto Elvo, si è ridotta con la conseguente diminuzione anche della produzione di toma magra ma, grazie all'impegno di coloro che hanno mantenuto questa tradizione, alla recente rivalutazione del burro fatto con latte crudo e in alpeggio, la produzione è in ripresa. L'intervento con la creazione del Presìdio, vuole valorizzare un prodotto dalle caratteristiche organolettiche straordinarie e tutelare un piccolo gruppo di pastori e casari attivi su queste montagne e riuniti nell’associazione Latte Vivo, con la speranza che il burro possa essere un punto di partenza per far conoscere e rilanciare l'intera attività casearia dell’Alto Elvo.
 
Foto Slow Food

© www.notiziepiemonte.it

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  4. MIELE DELLE VALLATE ALPINE TORINESI Gusto: il Miele delle vallate alpine
  5. IL SARAS DEL FEN Gusto: il Saras del Fèn
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